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Gödel, Escher, Bach – un’Eterna Ghirlanda Brillante
28 giugno 2010, 20:56
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Douglas R. Hofstadter
Gödel, Escher, Bach – un’Eterna Ghirlanda Brillante
Prima edizione italiana
Adelphi 1984.



Edizione a cura di Giuseppe Trautteur .
Traduzioni di Barbara Veit (l'Introduzione e i capitoli I-IX); Giuseppe Longo (i capitoli X-XV); Giuseppe Trautteur (il capitolo XVI, il dialogo Invenzione a due voci e gli apparati); Settimo Termini (i capitoli XVII-XX), Bruno Garofalo (tutti i dialoghi, tranne Invenzione a due voci).
Supervisione redazionale di Fiamma Bianchi Bandinelli

GEB cover - Adelphi Biblioteca Scientifica 6

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Gödel, Escher, Bach e’ un libro davvero speciale,
dedicato all’esame della coerenza delle strutture
nei modelli formali che servono alla comunicazione



Qui e’ la prima di una serie di lezioni [dal MIT Open CourseWare]
con il titolo Gödel, Escher, Bach: A Mental Space Odissey
(tenute in relazione al libro di Douglas Hofstadter).

E questa e’ la recensione di Gabriele Lolli tratta da
L’Indice dei Libri del Mese no.3 del 1984

(recensione pubblicata per l’edizione del 1984)
recensione di Lolli, G., L’Indice 1984, n. 3

Sono passati cinquanta anni dal 1931, e il teorema di Gödel incomincia ora ad uscire dal limbo dei misteri gloriosi, o dolorosi, in cui era stato subito confinato. Matematici e filosofi d’accordo lo hanno esorcizzato avallandone un’interpretazione negativa: la fine del sogno leibniziano, e poi tardo ottocentesco, di catturare tutta la conoscenza umana in un linguaggio universale, un insieme fissato di simboli così aderente alla struttura del reale da poter essere usato per scoprire le verità, mentre la sua rigida sintassi sarebbe stata garanzia di salvaguardia dall’errore. Il clima intellettuale di oggi è sempre più favorevole a una considerazione positiva del lavoro di Gödel, grazie al fatto in particolare che delle macchine non si evocano solo più i fantasmi, ma si fanno i conti, quotidianamente, con i linguaggi e le prestazioni. Ne è un riflesso questo impegnativo, incredibile, unico, proteiforme libro di Hofstadter, difficile da catalogare, quasi impossibile da descrivere.
Il libro era stato concepito come esposizione del teorema di Gödel; infatti ritagliando i cap. I, V, VII, VIII, IX, XIII, XIV e XV si ottiene un corso introduttivo di logica, preciso e autosufficiente, finalizzato a quella dimostrazione: per ogni sistema formale in cui si rappresenti un minimo di aritmetica esiste un enunciato che non è dimostrabile, e la cui negazione neppure lo è, in quanto l’enunciato afferma, in una interpretazione insolita ma rigorosa, “io non sono dimostrabile”. È la costruzione di questo enunciato autoreferenziale, più che la conclusione della incompletezza dei sistemi formali, che si presta a traboccare dalla matematica pura, per insediarsi nel cuore della realtà fisica e biologica. “La dimostrazione di Gödel, con la sua costruzione che richiede codici arbitrari, isomorfismi complessi, livelli alti e bassi di interpretazione, e con la sua capacità di autoriflettersi” (pag. 766) riassume un armamentario di concetti e di metodi che sono sentiti sempre più come indispensabili per affrontare lo studio della intelligenza e della vita. Così il libro, che doveva servire a confutare l’interpretazione antimacchinista del filosofo J.R. Lucas (cap. XV), è cresciuto nelle mani dell’autore fino a diventare una introduzione e un’appassionata, onesta discussione della possibilità della Intelligenza Artificiale (IA), di cui Hofstadter è valido studioso e si professa razionale e religioso credente (pag. XXVII).
“Uno degli scopi che mi sono prefisso è spingere ogni lettore ad affrontare questa presunta contraddizione (di programmare un essere intelligente), assaporarla, capovolgerla, smontarla, sguazzarci dentro, così da emergere infine con una nuova capacità di scavalcare il baratro apparentemente invalicabile tra il formalizzato e il non formalizzato, l’animato e l’inanimato, il flessibile e il rigido” (pag. 28). Presupposto dell’IA è una definizione preliminare dell’intelligenza naturale, come la riconosciamo, dove risiede. Quando ne individuiamo qualche tratto tangibile ci accorgiamo di descriverlo in termini logici: intelligenza è uscire dal compito che si sta facendo per osservarlo dal di fuori (pag. 40); al centro dell’intelligenza ci sono gli Strani Anelli, cioè il ritrovarsi al punto di partenza salendo o scendendo i gradini di qualche gerarchia; compaiono nella forma di regole che cambiano se stesse, o di regole ricorsive che generano disegni infiniti e incapsulati dalla trama imprevedibile anche se obbligata (pag. 164); la complessità dell’intelligenza fa ritenere impossibile per essa una base di cose rigide ed elementari, che però ci sono, e ci devono essere per evitare i regressi all’infinito. È “al livello in cui i pensieri sono prodotti in base a una legge fisica che crolla il paradosso di Carroll” (pag. 184), quello di una regola che per essere applicata ha bisogno di una regola che spieghi come si applica.
“Scopo principale del libro (è perciò) indicare quale tipo di rapporti ci sono tra il software della mente e l’hardware del cervello” (pag. 329). O per lo meno indagare “se la mente, che costituisce il livello più alto, possa essere compresa senza comprendere i livelli inferiori del cervello, dai quali essa dipende e non dipende. C’è una ‘paratia stagna’ tra certe leggi del pensiero e le leggi inferiori che regolano l’attività microscopica delle cellule del cervello? oppure è impossibile districare i processi del pensiero, individuandone sottinsiemi nitidi e modulati?” (pag. 335). L’ipotesi essenziale dell’IA è “che l’intelligenza può essere una proprietà del software, con proprie leggi di alto livello, che dipendono dai livelli inferiori e tuttavia sono ‘separabili’ da essi” (pag. 389).
Per confermare questa ipotesi si intraprende un lungo viaggio all’interno del cervello (cap. XI e XII) e dei calcolatori (cap. X, parzialmente V e XIII, e passim). I calcolatori sono una gerarchia di livelli, dai circuiti e dai linguaggi macchina su per i linguaggi assemblativi, i compilatori, gli interpreti, i linguaggi evoluti, i sistemi operativi, ogni livello pur se in ultima analisi dipendente dall’hardware con una propria logica indipendente. Non si dice a un calcolatore come gestire i propri circuiti; se gli si dice di modificarli non capisce, ma se gli si dice di modificare il programma in base a cui lavora lo fa. Nel cervello, ricordatane la struttura e gli esperimenti sulla localizzazione dei processi cerebrali, si è portati a individuare una analoga gerarchia, anche se meno fisicamente fissata. I simboli ad esempio, definiti come la realizzazione circuitale dei concetti, sembrano appartenere all’hardware, ma sono forse reti variabili e parzialmente e variamente sovrapposte di neuroni con particolari strutture di attivazione, sono già una parte separabile dal sostrato fisico.
Un’immagine che piace all’autore è quella di una colonia di formiche, nessuna delle quali può possedere tutte le informazioni necessarie per costruire il formicaio, ma che muovendosi collettivamente a sciami di composizione variabile portano a buon fine l’impresa. O quest’altra: un uomo non può rispondere alla domanda quanti globuli rossi ha prodotto quest’oggi, anche se la sua vita dipende da tali fenomeni; ma può discutere e adottare diete e medicine che influenzano quel livello inaccessibile.
La sfida dell’IA è costruire un sistema che accetti un livello di descrizione e ne ritorni un altro. Ma questo è anche il principio della vita. Nel cap. XVI è presentato un sistema formale che riassume alcune idee della genetica molecolare. Il DNA è una stringa interpretabile a diversi livelli: contiene il programma per l’attività cellulare, i dati manipolati dagli enzimi, il linguaggio trascritto dall’RNA. L’intero meccanismo cellulare, con la trascrizione e trasmissione del codice genetico da un filamento di DNA che indirettamente dirige la sua autoreplicazione è proiettato sulle interpretazioni e sulle codifiche del teorema di Gödel, scelte proprio appositamente in vista di questa presentazione. Dunque il teorema di Gödel “non ci impedisce di riprodurre il nostro livello d’intelligenza mediante programmi non più di quanto impedisca la riproduzione del nostro livello d’intelligenza mediante la trasmissione dell’informazione ereditaria contenuta nel DNA seguita dall’educazione” (pag. 766).
Certo ci va anche un contesto; può il DNA evocare un fenotipo senza essere inserito in un contesto chimico appropriato? La risposta è un no possibilista, inserito in una approfondita discussione del significato (cap. II, III, IV, VI). I critici di Hofstadter (E.
Rothstein su “New York Review of Books”, 6 dicembre 1979, pp. 34-39, J. Searle, ivi, 29 aprile 1982, pp. 3-6) ne denunciano la illusione basata sulla sottovalutazione del significato, come tramite dell’intelligenza. Ma l’autore sviscera l’argomento, proponendone naturalmente una definizione che lo renda trattabile, in termini di traduzioni e codifiche. Un filamento di DNA lanciato nello spazio è un messaggio che ha più probabilità di suggerire il tipo di contesto, chimico che richiede per la sua decodifica, di quanto non ne abbia un disco con il “Paesaggio Immaginario n. 4” di J. Cage.
La storia e il presente dell’IA, da Turing al gioco degli scacchi alla traduzione automatica sono discussi nei cap. XVIII, XIX e XX, ma detto questo ci accorgiamo di non aver ancora neanche sfiorato la struttura del libro. La ragione delle centocinquanta riproduzioni di Escher sarà plausibile, a chi conosce questo artista, in un libro tutto percorso da Strani Anelli e gerarchie aggrovigliate; così come la presenza di Magritte. Quella di Bach, dei suoi canoni, contrappunti e fughe come esemplari di Strani Anelli e processi ricorsivi, sembra più forzata (anche a giudizio di chi è competente). La musica svolge un ruolo efficace invece nella discussione del significato, con dischi, solchi, onde sonore, grammofoni che esplodono su certi dischi autoreferenziali, una teoria ‘juke-box’ del significato.
C’è un gran divertimento in questo libro, e una fantasia irrefrenabile; chi lo dice che non ci si può più divertire a scrivere libri? Ogni capitolo è preceduto da un dialogo in cui gli argomenti sono introdotti in forma di metafora; sul modello di L. Carroll, questi dialoghi spesso surreali sono popolati da Achille, La Tartaruga, Zenone, granchi e formichieri. Nel testo, un’orgia di giochi linguistici, anagrammi, acronimi, codici segreti, a esibire la presenza universale del fenomeno dell’autoriferimento; qualche volta, bisogna dirlo, quanto si esagera si scende al livello della “Settimana Enigmistica”; libere associazioni nel nome di Gödel, anche quando sono proprio solo metaforiche. Ma l’autore, come si dice, ci crede, e fa di tutto per comunicare il suo entusiasmo al lettore insieme alla sua scienza. Crede anche allo Zen, e ci propone i ‘koan’ che “sono arguti, ricaricano, seducono” (cap. IX e passim); lo Zen diffida delle parole per imprigionare la verità, lo Zen è olista, e riconosce il limite. Tuttavia sembra un po’ ardito accostare il messaggio “se uno di voi ha un occhio solo vedrà il fallimento da parte del maestro” con la necessità di adottare la doppia lettura tipografica e aritmetica delle formule logiche.
Complimenti ai traduttori e a chi ha curato l’edizione di questa opera che è perfetta; deve essere stata una fatica improba, dal punto di vista intellettuale ed editoriale, ma ne valeva la pena; a parte la curiosità di un libro che come uno Strano Anello si chiude sul suo inizio, il tema è cruciale. Per più di duemila anni il pensiero è stato bloccato dal paradosso del mentitore, adesso Hofstadter ci guida per mano su e giù per gerarchie aggrovigliate dove impariamo come nasce l’intelligenza e la vita. E non ci è voluto neanche molto. Sono passati cinquanta anni dal 1931.

Data: Sabato 11 Giugno 2010 – 2010-06-11


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