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Discorso sulla Matematica – Gabriele Lolli
22 agosto 2011, 15:48
Filed under: Consigli di lettura, Copertine, Libri visti

Gabriele Lolli
DISCORSO SULLA MATEMATICA
Una rilettura delle Lezioni americane di Italo Calvino
Un libro che parla della matematica con le stesse parole usate da Italo Calvino per la letteratura.

Collana: «Temi»
Data pubblicazione: febbraio 2011
Codice isbn: 9788833921938
pagine: 226
prezzo: €18,00

Discorso sulla matematica _01

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Gabriele Lolli _01

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Italo Calvino _ 01

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Gabriele Lolli osserva che gli argomenti trattati nelle Lezioni Americane di Calvino (Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità) sono proprietà essenziali del pensiero matematico creativo. Da tale osservazione ha origine questo libro, di grandi chiarezza e fascino.

Qui sono disponibili alcune interessanti recensioni.

Di seguito inoltre è riportata la recensione di Luigi Marfé tratta da L’Indice dei Libri del Mese.

Quali “valori o specificità o qualità”, si chiedeva Italo Calvino nel comporre le Norton Lectures nel 1985, dovrebbe portare con sé la letteratura del prossimo millennio? Oggi che in quel millennio ci siamo dentro da più di dieci anni, Gabriele Lolli ci mostra come, spostando il quesito sulla matematica, la risposta resti la stessa immaginata da Calvino. Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità – che, insieme alla consistency, avrebbero dovuto comporre la lista dei desideri calviniana – sono infatti anche qualità fondamentali del pensiero matematico. I sentieri della creazione seguono percorsi ancora per gran parte in ombra, ma, grazie a libri come quelli di Lolli, rivelano, tra letteratura e matematica, paralleli sorprendenti: l’epistemologia di Goodman ci ha del resto provato da tempo come le forme della rappresentazione verbale e quelle della rappresentazione simbolica siano altrettanti modi di “vedere e costruire il mondo”. Modelli che tolgono peso alla realtà per comprenderla meglio, maneggiarla, renderla finalmente significante. “L’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono – argomentava in questo senso Calvino, – entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione”.
Era questo l’obiettivo di Calvino fin dal 1964, quando si trasferì a Parigi e, in un momento di impasse creativa, trovò in Queneau e in Borges quell’idea combinatoria della letteratura che più avanti lo avrebbe portato verso la “patafisica” dell’Oulipo (cfr. “L’Indice”, 2010, n. 12). Da allora, per lo scrittore a caccia di storie, la matematica divenne ben più di un prontuario di “istruzioni per l’uso”. Lolli ci spiega come le suggestioni che la letteratura trarrebbe dalla matematica siano innumerevoli: il principio dell’economia discorsiva, la regola del rigore, l’ambizione di una consecuzione assoluta, le vertigini di un’altrettanto assoluta indeterminazione. Suggestioni che nutrono la prosa di Leonardo e Galileo, Poe e Valéry, Gadda e Musil, Queneau e Levi, e più in generale di tutti gli autori di quella “linea di forza della letteratura”, come diceva Calvino, in cui la cultura scientifica e quella letteraria si contaminano a vicenda per inseguire un comune progetto cosmologico. Il dono più grande che Calvino credeva di aver trovato nella matematica, così come nelle scienze, era la disponibilità di un intero arsenale di metafore. Ed è proprio nella matematica e nella scienza che il suo sogno di una scrittura indipendente dal proprio stesso autore scelse le sue immagini preferite: “Magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse di uscire dal nostro io individuale per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera, la pietra, il cemento, la plastica…”.
Non sono più i tempi di Snow e di Leavis, e l’idea che la letteratura debba molto alle scienze è ormai una certezza acquisita. Il Discorso sulla matematica di Lolli descrive la dialettica tra quelle che un tempo si chiamavano le “due culture” su un piano molto più complesso della reciproca opposizione, come un itinerario verso una regione dell’immaginario dai confini così porosi da permettere trasbordi tanto frequenti quanto inavvertiti.
Ecco allora il profilarsi dell’opposta (e più difficile) domanda: cosa può offrire la cultura letteraria alla matematica? Molti anni fa, Koestler e Feyerabend hanno risposto a questo interrogativo sostenendo che anche le scienze avrebbero un loro emplotment, e la retorica narrativa sarebbe un aspetto essenziale di ogni teorizzazione astratta. Lolli affronta la questione da un punto di vista diverso. Seguendo implicitamente Gardner, ci spiega che esistono operazioni mentali che un approccio artistico può padroneggiare meglio e altre che invece sono più semplici per la matematica: ciò che importa, in entrambi i casi, è l’instaurarsi di un circolo virtuoso in cui ciascuna dimensione possa arricchire l’altra. In questa prospettiva, la letteratura ha almeno altrettanta forza di visibilità da offrire alla matematica di quanta ne tragga da essa. Se la storia della matematica, così come quella delle scienze, è segnata dal susseguirsi di nuove scoperte, uno dei suoi problemi fondamentali è quello di rendere pensabile il nuovo. Le occorrono immagini, metafore, storie, ed è per questo che i grandi libri di scienza – penso a Galileo, a Darwin, a Monod – sono libri di letteratura a tutti gli effetti. “Il più grande scrittore della lette–ratura italiana d’ogni secolo”, scrisse una volta Calvino, è stato Galileo: non era soltanto una provocazione, ma la convinzione che fosse un autentico uno sforzo poetico a rendere la sua scrittura un luogo in cui potevano “piovere dentro” sempre nuove similitudini.
Uno classico rompicapo matematico è il cosiddetto gioco di Marienbad, che in una delle sue versioni più note chiede di costruire quattro triangoli uguali con sei fiammiferi. Un enigma da perderci la testa, che tuttavia si rivela molto semplice non appena ci si accorge che basta sollevare uno dei fiammiferi dal piano dove si sta cercando invano la giusta combinazione: passando alle tre dimensioni, verrà infatti naturale comporre un tetraedro (cioè una piramide a base triangolare). Il libro di Lolli sembra spiegarci che forse l’incontro tra letteratura e matematica si può spiegare nello stesso modo: ciascuna di esse permette all’altra di guadagnare una dimensione in più, e di raggiungere così la giusta distanza dalla quale poter relativizzare le proprie certezze e scoprire, come avrebbe detto Calvino, che il “mondo è molto più complicato e vasto e contraddittorio” di ogni punto di vista individuale.
Matematica vuol dire, letteralmente, “ciò che si impara”. Nel suo lento affrettarsi sulla strada della conoscenza, la prospettiva del signor Palomar, così come quella di tutta l’opera di Calvino, è “matematica” in questo senso etimologico. Nella tradizione dei Bachelard e dei Serres, il Discorso sulla matematica di Lolli ci spiega come qualunque autentico viaggio del sapere finisca per intrecciare la letteratura e la matematica in una hofstadteriana “ghirlanda brillante”.
Luigi Marfè